domingo, 21 de agosto de 2011

Ecco il quarto contributo: Milena Bontempi, Matematica del progetto politico: la "costruzione" della città nelle Leggi


La presenza di riferimenti normativi a carattere ‘matematico’[1] nell’esposizione del disegno politico di Magnesia configura una matematica del progetto costituzionale? Se sì, è possibile, sulla base delle operazioni platoniche e del loro intreccio con indicazioni storiche sulla matematica, articolare la relazione sussistente fra procedimento matematico e dinamica politica? Si tratta della deduzione dall’alto di un ordine sociale, o gli operatori ‘matematici’ mirano a far emergere le differenze esistenti non per sussumerle nel simile, ma per elaborare l’unità a partire da esse? Che ruolo gioca, in ciò, il disordine?
Sono questi i passaggi ed i problemi che cercherò di affrontare in questa relazione.

  1. ‘Matematica’ del progetto politico

Se il fine del legislatore è la totalità armonica delle virtù, le operazioni che ne caratterizzano l’attività, intrinsecamente, sono assegnazioni e distribuzioni, al modo in cui il medico mira alla salute con cauterizzazioni e farmaci, o il pittore realizza il dipinto producendo e disponendo colori e forme[2].

Vuoi dunque che a lui affidiamo di distribuire (nei'mai) tutte le cose fino all’opera più particolare e nel minimo dettaglio...? (697a5-6)[3].

Distribuire, dunque: onori e disonori, come in questo passo (ovvero lodi e biasimi, nelle prassi e nei discorsi pubblici, quotidiani, celebrativi ed imitativi); cariche (che sono una specie di onori e disonori); ammende e punizioni[4]. E, prima, tutta la dimensione materiale e squisitamente quantitativa delle proprietà. Questi ‘ingredienti’ sono ordinati all’idea generale della virtù in maniera tale da risultare però anche, ciascuno, compatibile e coordinato col complesso delle leggi. Ciò delinea una progressione normativa strutturale, per illustrare la quale risulta particolarmente efficace la discussione della questione poetica, introdotta ed analizzata nei suoi criteri peculiari nella fase ‘teorica’ precedente l’annuncio dell’imminente deduzione di colonia (II, 667b ss.), e ripresa col VII libro nel suo ‘aggiustamento’ entro i lineamenti della costituzione.
I giochi dei bambini – vi si dice –  plasmano i costumi, ovvero sono normativi per via di fatto, sono leggi vigenti: è importante, perciò, che in un progetto legislativo ‘competente’ essi siano regolamentati e stabilizzati, soprattutto in quei settori cruciali che sono “le prassi relative a lode e biasimo dei costumi” (798d3-4)[5], ovvero ritmi e musica in generale, “imitazioni degli stili di vita di uomini migliori e peggiori” (798d8-9). I canti, dunque, sono norme per i costumi, griglie tipologiche indirizzanti di fatto e (a Magnesia) di diritto le condotte cittadine. Perciò essi vanno a loro volta fatti oggetto di leggi, che sanciscano quanto è ammesso e quanto no, e le eventuali punizioni: così disciplinati, essi andranno considerati precisamente leggi, come vuole quindi non solo il loro nome[6], ma il loro stesso funzionamento.
L’insieme articolato dei nomoi censori di danza e musica, poi, abbisogna a sua volta di linee direttive a cui ispirarsi: queste vanno ricercate nelle leggi ed istituzioni di Magnesia nel loro insieme, ossia nella politeia ivi vigente, definita la tragedia più bella perché, imitazione della vita migliore, sarà criterio per discernere, caso per caso, i componimenti poetici ammissibili in città (VII, 817a-d). Prima ancora della politeia positivamente attuata, saranno però le conversazioni dei tre protagonisti, o altre analoghe (811e), a fungere da modello per qualsivoglia argomento ambisca a forme di cittadinanza e di seguito in città: esse vengono in effetti indicate, sempre in riferimento al tema dell’educazione, come paradeigma per distinguere in generale quali discorsi, poetici o in prosa, siano “adatti da ascoltarsi per i giovani” (811d5)[7]. Con ciò, il testo delle Leggi può considerarsi riferimento per tutto l’apparato di logoi e costumi praticabili in città: ovvero, innanzitutto, per la stessa politeia-tragedia, con le sue effettive magistrature e leggi. In effetti, in generale, nell’argomentazione delle Leggi vale l’indicazione per cui i presenti ragionamenti sono un progetto che la legislazione positiva di Magnesia recepirà poi nelle sue linee-guida, selezionando quanto più si adatta alle condizioni di fatto e riempiendone, con la regolamentazione dei dettagli più empirici, le necessarie lacune[8].
Si delinea insomma un quadro per cui, se logiche e criteri propri all’ambito poetico-musicale sono fatti oggetto di analisi particolareggiata in più luoghi e da vari punti di vista, ciò avviene però sempre in ottica nomotetico-politica. Le specificità di ambito sono osservate secondo la loro ascrivibilità alle direttrici dei nomoi tutti, e questi sono redatti in riferimento allo scopo complessivo della virtù ed ai lineamenti costituzionali emersi nella discussione dei tre protagonisti, discussione ‘libera’ da pressioni pratiche immediate, anche se non avulsa, chiaramente, dalla concreta prospettiva della colonia (cfr. soprattutto IX 857e ss.). Come dovrebbe operare questo schema o manuale rispetto alla realtà territoriale e storica, empirica, della città a venire? In che cosa consiste la sua capacità orientante e direttiva? O, in sintesi, quale tipo di razionalità politica viene qui sottintesa?
L’indicazione  che qui proponiamo di raccogliere come rilevante per la posizione di tale problema è la centralità ascritta a più riprese alla conoscenza delle discipline ‘matematiche’ per la tecnica costituzionale e politica, non solo nei suoi aspetti strettamente materiali e quantitativi. In ragione di ciò, innanzitutto, esse vengono prescritte nella formazione di ogni tipo di cittadino, qualunque siano il suo grado di partecipazione al livello politico e, di conseguenza, le sfere a cui si estende la sua ‘giurisdizione’ o l’esecuzione della parte a lui propriamente assegnata[9]. Insieme a lettere e lira, vanno insegnati ai fanciulli

i calcoli – che, come abbiamo detto, è opportuno per ciascuno cogliere per quanto è necessario in riferimento a guerra, gestione della casa ed amministrazione cittadina – e ancora, per gli stessi motivi, gli aspetti utili nelle rivoluzioni dei corpi divini, astri sole e luna, nella misura in cui in ogni città l’organizzazione di questi aspetti risulta necessaria [scil.: in riferimento all’organizzazione del calendario, quindi alla distribuzione temporale di stagioni, sacrifici e feste] (809c4-d1).

Ancora, poco più avanti, calcolo e disciplina dei numeri, misurazione di lunghezze superfici solidi, e materia astronomica, son detti tre mathemata “per gli uomini liberi” (817e5). Si specifica allora che, se anche solo in pochi vi attingeranno con esattezza, sarebbe però vergognoso che gli aspetti necessari di tali discipline fossero ignoti ai più: dove non si tratta, si badi bene, di minuzie da vita quotidiana spiccia, perché sempre di cittadini magneti e non di artigiani o commercianti si sta parlando! Necessità sì, ma divine, che dunque – dobbiamo pensare – non intaccano lo status di liberi: quel livello del discorso sulla necessità di cui lo stesso dio deve tener conto, senza con ciò perdere il suo carattere divino (818b); anzi, chi non attinga a conoscenze basilari di ‘matematica’ mostrerebbe di non possedere i requisiti per esser detto né theios né demone né eroe (818c). Le nozioni ‘matematiche’ elementari sono, del resto, preliminari  all’accesso anche ai livelli più alti ed elitari della disciplina, requisito poi per l’esercizio del governo nel senso più pregnante del termine (cfr. ad es. XII 967d-968b). 
Tale esito elitistico va però accompagnato da una precisazione molto significativa per un orizzonte antropologico caratterizzato fin da principio dalla difformità rispetto al detto pitagorico “comuni sono le cose degli amici”. Sarebbe ridicolo, sostiene l’Ateniese, nascondere ai più ciò che in Egitto i bambini imparano insieme alla grammatica (819a-d), e che non è in effetti né dannoso né difficile (820d), ma ancora affatto basilare e necessario (820b):

[...] lunghezza [...] larghezza [...] profondità [...] e se alcune risultano né troppo né poco commensurabili, ma le une sì e le altre no, e tu invece le ritieni commensurabili tutte quante? [...] Che mi dici di lunghezza e larghezza rispetto alla profondità, o di profondità e lunghezza in rapporto reciproco? Di esse non pensiamo tutti noi Greci che sia possibile misurarle le une con le altre, in un modo o nell’altro? [...] E se invece non sono affatto ed in nessun modo commensurabili, mentre tutti noi Greci – come dicevamo – siamo convinti che lo siano, non sarebbe forse il caso che, vergognandomi per tutti quanti, dicessi loro: «Miei ottimi fra i Greci, questa è una di quelle cose che dicevamo brutto non conoscere, mentre non è particolarmente onorevole conoscere nozioni necessarie»? (819e4-820b7).

La geometria ed i suoi oggetti affiancano le competenze aritmetiche come discipline funzionali alla gestione delle occupazioni cittadine pur sapendo che non tutte le entità ascrivibili alla prima sono descrivibili come una pluralità di unità di misura al modo in cui l’arithmòs è definibile “una molteplicità composta di unità”[10]. La differenza di ambito non costituisce un problema per l’orizzonte politico, ma, anzi, quasi un dato di partenza necessario. Non c’è scandalo nella scoperta degli incommensurabili, non c’è motivo per riservarne a pochi lo studio: la loro esistenza ed azione, a quanto pare, non minacciano il comune e possono ben essere comunicate ai più. In effetti, a ben pensarci, risulterebbe curioso che proprio in una città che denuncia fin da subito la propria irriducibilità all’omogeneità assoluta, la propria costituzione a partire da discreti e disomogenei, si possa poi pensare ad una ‘matematica’ del progetto politico nel senso di una riduzione qualitativa degli ‘ingredienti’ e di una loro distribuzione essenzialmente quantitativa.
Il monito a non dimenticare il dato banale delle reciproche discontinuità che caratterizzano le discipline ‘matematiche’ ed i loro oggetti, allora, forse non si rivolge solo allo stato della preparazione matematica media degli Ateniesi, ma allo stesso lettore delle Leggi nelle chiavi di lettura che questi potrebbe esser tentato di assumere per la complessità del ragionamento proposto. L’ambito proprio del ‘matematico’ va inteso immediatamente come organicità e insieme differenziazione delle discipline metrico-armoniche. È questo ambito ‘matematico’ come organicità, e non come formalizzazione algebrica, ad essere formativo ed utile per la dimensione politica[11]. Esso allora, però, non descrive lo spazio di un continuum. Questo solo dato impone di problematizzare l’idea di un assetto ‘matematico’ del progetto politico magnete: non per negarlo, ma per discuterne le implicazioni ed il significato.




  1. Logica ‘matematica’ e logica politica

La riflessione ‘matematica’ contemporanea a Platone, frutto e parte della sua stessa speculazione, è anche, per così dire, lavorìo dialettico-nomotetico su un materiale lessicale, le cui somiglianze, differenziazioni e connessioni interne sono elaborate allo scopo di configurare/rispecchiare e stabilizzare sul piano linguistico la struttura portante di una dinamica concettuale (e ontologica, per Platone)[12]. Come è possibile ricostruire dall’analisi della terminologia afferente alla misura nell’opera platonica[13], tale processo affiora negli stessi dialoghi ed uno dei luoghi più espliciti in tal senso è proprio il passo delle Leggi in cui si accenna agli incommensurabili: una delle prime fonti assolute, peraltro, dell’uso di questi termini in senso tecnico[14]. Ora, che simili nozioni siano lì indicate come necessarie ed elementari in vista del normale esercizio delle funzioni comunitarie personali e della basilare disposizione dell’ordine cittadino, è indice del fatto che sono proprio la metodologia della ricerca ‘matematica’ ed i suoi fondamenti a dover essere in qualche modo estesi anche all’ambito politico. La ‘matematica’ utile alla politica va intesa insomma, specificamente e senza remore, nella peculiare rifondazione accademica della disciplina. Lo stesso rinvio testuale all’esercizio delle discipline ‘matematiche’ non con i presupposti della pratica scolastica vigente, ma nella sua versione ‘egiziana’, focalizza proprio le peculiarità logico-concettuali di differenti assetti della materia.
Senza intraprendere ricostruzioni storico-speculative generali delle ‘matematiche’ accademiche, ci limitiamo qui a ricordare un dato in sé significativo del campo problematico in questione, e d’altro canto legato direttamente all’accenno platonico delle Leggi. Il libro V degli Elementi di Euclide, che in verità contiene la teoria delle proporzioni (ovvero della commensurabilità) di Eudosso e non è posteriore al IV sec. a.C., parte da una definizione di rapporto (logos) esclusivamente in termini di grandezze maggiori e minori, senza ricorrere a numeri interi, ma semmai a concetti quali uguale, eccesso e difetto[15]. Se la struttura del numero rimane esemplare per tutto il campo del misurabile, dunque, va però tenuto a mente che le nozioni di rapporto, di misurabile e misura, e la questione della commensurabilità, coprono uno spazio più vasto di quello descrivibile squisitamente in termini di arithmòs. Quest’ultimo è una specie, pur privilegiata nella sua purezza, di rapporto di misura: non è bensì l’elemento ultimo cui va ricondotta ogni determinazione.
In che cosa consistono, allora, la specificità e la conseguente paradigmaticità del numero? Esso è una pluralità di 1: ovvero, tutte le istanze del numero sono riconducibili alla stessa unità di misura, e sono perciò tutte reciprocamente commensurabili. Questo non vale, invece, quando si passa alle lunghezze, per descrivere le quali sono necessarie non una, ma due misure: è il problema ad esempio del rapporto della diagonale col lato del quadrato, il problema che il Teeteto (147d-148b) chiama delle potenze. Dove si acceda ad un quadro ontologico dotato di una maggiore complessità, o di una minore omogeneità, è necessario non solo riconoscere che la realtà estesa o non semplice presenta alterità reciprocamente irriducibili, ma anche che entro certi limiti su tali irriducibili si può costruire procedendo in tal modo alla loro integrazione nello spazio del misurabile. Le potenze sono appunto linee non commensurabili con l’unità di misura delle altre lunghezze, ma che risultano misurabili con queste a partire dalle superfici che entrambi i tipi di linee possono produrre. La logica sottesa a tale procedimento per costruzione è che si ammetta di far riferimento non più solo ad una, ma a più unità di misura, come spiegherà Aristotele[16].
Termini in sé irriducibili risultano reciprocamente comunicanti attraverso le strutture articolate costruibili intorno ad essi: l’analisi e l’ordinamento di un ambito di relazioni particolare vengono svolti, quindi, per costruzione e non per deduzione. Istanze irriducibili o imprevedibili rispetto alla logica fin lì ‘vigente’ vengono accolte ed integrate, dunque, non per omologazione o sussunzione, ma assumendone la radicale specificità o rottura rispetto al complesso già dato dei rapporti, come apeiron (eccesso o difetto) rispetto ad essi. Tale differenza, d’altro canto, va però studiata ed elaborata quale specifica capacità (potenza) di ordine, ovvero come unità di misura all’interno, vuoi di uno stesso piano complessivo di rapporti e di esigenze, vuoi anche di un ordinamento superiore comprensivo di aspetti ulteriori della realtà (così il VII delle Leggi ricordava l’incommensurabilità di alcune lunghezze con altre lunghezze, ma anche di lunghezza e larghezza rispetto a profondità, e così via).
È allora la capacità di ordine ciò per cui il numero rimane nozione esemplare anche per gli altri ambiti: ogni arithmòs è una figura, un assetto articolato senza eccessi né difetti, prodotta dalla potenza dell’1. La sua specificità invece, ovvero ciò che non gli consente di estendersi tout court ad ogni altro aspetto del reale nei termini della mera applicazione, è il tipo di ordine che la nozione di numero a priori significa: esso rinvia alla griglia precostituita di rapporti ed operazioni possibile là dove vi sia un’unica unità di misura, peraltro sempre identica ed esatta (cfr. Phil. 55d-e), come l’1 aritmetico. Al venir meno di tali condizioni sono tuttavia possibili altre configurazioni d’ordine che, generate da misure diverse dall’1, né esatte né esclusive, riescono però a dar ragione di settori plurali e complessi della realtà.
D’altra parte, l’Ateniese nel libro VII inserisce le nozioni geometriche ed astrologiche fra le competenze di base del cittadino perché esse, in ambiti diversi, rispondono alla stessa esigenza per cui altrove si applica la scienza dei numeri. Il monito a procedere in tale direzione senza pretendere di ridurre le prime alla seconda (esorcizzandone gli aspetti di irriducibilità), a sua volta, significa che la geometria proprio in virtù delle differenze che la distinguono dall’aritmetica è lo strumento adatto a conseguire, per certi oggetti o prospettive, i risultati che questa ottiene altrove, anche se non con la stessa esattezza, tenuta o esaustività. Misurazione geometrica e misurazione aritmetica, quindi, propongono entrambe uno stesso tipo di dinamica, o una stessa operatività di fondo, e perciò sono chiamate in causa per realizzare le stesse funzioni ed operazioni. Ciò che determina l’impiego dell’una al posto dell’altra non è il passaggio a metodi reciprocamente differenti per rispettare e consacrare, in tal modo, la differenza ontologica dei rispettivi ambiti (ovvero, non è l’aspetto gerarchico della costruzione politica, la disposizione piramidale delle sfere di vita e di competenza su piani sovra/subordinati), ma è, anzi, la necessità di ricondurre spazi e dinamiche pur diverse alla convergenza in un orizzonte di comunicabilità che consenta la configurazione di un cosmo comune.  
Si può dunque affermare, nel complesso, che la deduzione della colonia magnete si proponga come una ‘matematica’ del progetto politico, in cui il numero, peraltro, risulta modello di regolamentazione esemplare per le articolazioni dell’intera struttura normativa. L’impianto abbozzato qui a partire dalla questione musicale sarebbe dunque un’intelaiatura ‘matematica’, una ‘matematica’ del progetto politico. L’ipotesi va consolidata a questo punto con l’osservazione delle modalità di comportamento degli operatori ‘matematici’, ed in particolare di alcuni cruciali fattori numerici, che agiscono sul materiale cittadino, informandolo[17]: ciò dovrebbe consentirci, infine, di circoscrivere ulteriormente il significato della dinamica sottesa al ‘matematico’, e quindi la sua portata nella definizione della razionalità politica.

  1. Operatori ‘matematici’ nella deduzione della colonia: potenze e variazioni

Se l’indicazione della virtù come bersaglio della costituzione magnete, la disposizione gerarchica interna alle aretài ed il conseguente ordine di priorità nell’attribuzione di onori costituiscono, fra IV e V libro, il proemio generale ai nomoi cittadini, da 734e in avanti si dà avvio alla legiferazione vera e propria. Innanzitutto la popolazione, la cui estensione va stabilita con calcoli che integrino esigenze politiche di distribuzione:

Del resto, per chi fa il legislatore, è doveroso aver riflettuto, in fatto di numeri, almeno su tale aspetto: quale numero, cioè, e con quali caratteristiche, sarebbe massimamente utile per ogni città. E noi sosteniamo che tale sia quello che possiede in se stesso la maggior quantità di ripartizioni, e il più possibile consecutive. Ora, se al numero in generale tocca la totalità delle divisioni riferibili ad alcunché, il 5040, per parte sua, in riferimento a guerra ed attività di pace, per contratti ed associazioni, riguardo a contribuzioni e distribuzioni, può essere diviso sì fino ad un massimo eventuale di 59 parti, che sono però continue dall’1 al 10. Coloro cui la legge lo prescrive, pertanto, devono apprendere saldamente anche nel tempo libero queste nozioni: non c’è altro modo, infatti; a chi fonda una città questi contenuti vanno comunicati in vista di tali problematiche [scil.: assegnazione di dèi e templi alle parti della città per le loro assemblee periodiche] (V 737e7-738b5).

La logica della partizione è necessaria nella città seconda, in cui non è possibile coltivazione in comune, e la terra va curata per nuclei famigliari divisi, pur conservati in numero stabile (739a-741a). Qual è la ragione, però, per cui la necessità, insormontabile anche per il divino (741a), va gestita precisamente in questo modo? Quale criterio regolativo ci sta esortando ad adottare il presente discorso?

Ma diciamo, dunque, che il discorso appena fatto a questo ci esorta e questo ci dice: «Egregi signori, non trascurate di onorare secondo natura somiglianza, uguaglianza, identità e ciò che è frutto di concordia secondo il numero e secondo ogni potenza capace di opere buone e belle: e appunto anche adesso in primo luogo preservate per tutta la vita il numero suddetto, e poi non disprezzate, col comprarla e venderla gli uni gli altri, l’altezza e la grandezza della proprietà che da principio vi siete distribuiti in giusta misura – ché non avreste come alleati né la sorte che fece la distribuzione e che è un dio, né il legislatore» (741a6-b6, corsivo mio).

Il numero è adottato come forma normativa in quanto esso è una potenza tra le altre capaci di opere buone e belle. Entro la serie illimitata dei numeri, poi, la capacità di produrre opere buone e belle agisce altresì come focus o criterio restrittivo per circoscrivere quel numero, o tipo di numeri, da selezionare nella particolare situazione[18]. Il numero è una specie del genere “rapporto di misura”, secondo il VII libro: ovvero, secondo il V, esso è una specie del genere “potenza capace di opere buone e belle”.
Il passo conferma da un lato gli aspetti di specificità e insieme di paradigmaticità del numero rispetto agli altri ambiti ‘ordinabili’ del reale. Dall’altro lato, al di là del caso esemplare degli arithmòi o anche degli oggetti comunque peculiari delle discipline ‘matematiche’, esso fornisce il termine comune in base al quale è possibile ascrivere un settore del reale, anche in divenire, alla categoria di ciò che è suscettibile di ordine: l’azione, in esso, di potenze, o costruzioni d’ordine, o moduli, capaci di edificare in quello spazio e secondo le sue necessità opere buone e belle. In tal senso, quanto più ci si distanzia dall’omogeneità vigente sul piano puro dei numeri, tanto più avremo a che fare con potenze o ‘elementi’ plurali, e caratterizzati ciascuno da complessità interna, non dalla semplicità dell’1 aritmetico[19].
Ma allora la fruibilità politica della riflessione sulle ‘matematiche’ non sta nel soddisfare un’istanza di riduzione ad unità o omogeneità, o di deduzione del molteplice dall’uno, o di imposizione al molteplice di una disposizione predefinita ed univoca. La loro prestazione costituzionale e normativa fa perno, bensì, sul loro essere capacità di edificare ordini possibili a partire da una molteplicità assunta quale dato preesistente, come tale a sua volta normativo (nel senso per cui normativa, o vincolante, è la necessità). La loro potenza è il poikilma, la “variazione”: termine che tanto più colpisce in ambito platonico in quanto, di norma, esso identifica atteggiamenti stigmatizzati come degenerativi nel senso della proliferazione disordinata e dell’anarchia. Quando il 5040 è richiamato per le tribù ed ulteriori partizioni, ci si chiede quale livello di dettaglio debba raggiungere la regolamentazione:

Oltre a ciò non bisogna aver timore, per paura di quella che potrebbe sembrare piccineria, quando ci si trovi a prescrivere di non lasciare che alcuno fra tutti quanti gli utensili che si possiedono sia senza misura, e considerando per ragionamento comune che in tutto le partizioni e variazioni (dianoma;" kai; poikivlsei") dei numeri siano utili per quanto quelli variano (poikivllontai) in sé e per quante variazioni (poikivlmata) esistono in lunghezze e profondità, e poi nei suoni e nei movimenti in linea retta della traslazione ascendente e discendente e in quelli circolari: infatti è bene che il legislatore, con lo sguardo rivolto a tutto ciò, ordini a tutti i cittadini per quanto possibile di non allontanarsi dall’assetto disposto. In relazione alla gestione della casa, come al regime politico e a qualsiasi arte, nessuna disciplina di formazione ha tanta efficacia (duvnamin) quanto lo studio dei numeri: e l’apporto più importante è che essa risveglia chi ha una natura sonnecchiante e lenta ad apprendere, rendendolo facile ad imparare, di buona memoria e pronto, in uno sviluppo al di là della sua natura per arte divina (746e3-747b6).

Vari sono gli elementi di rilievo in questo passo[20]. Dal punto di vista della nostra ricerca interessa soprattutto notare come la varietà in ambito aritmetico sia distinta da quella in lunghezze e profondità: è assunto, cioè, il presupposto del cambiamento dimensionale e della complessificazione che il passaggio dai primi alle seconde contiene, sottolineando – dato rilevante per noi – come esso comporti un ulteriore incremento in termini di possibilità di “variazione” rispetto alla moltiplicazione dell’1 aritmetico. La prestazione delle ‘matematiche’ non è la definizione di un ordine stabilito, univoco. La loro potenzialità ordinante, anzi, è legata al loro essere espressione di una potenza che sa produrre in sé e da sé “variazioni”, ovvero che sa lavorare su se stessa modificandosi.
La sfumatura qualitativa del poikilma e il passaggio dai numeri alle lunghezze-profondità andranno allora presi sul serio nell’interpretazione del messaggio platonico. Non si sta parlando di una mera moltiplicazione di istanze dell’identico, ma, più radicalmente, della possibilità di concepire una pluralità di logiche possibili e di metterle tra loro in relazione. Tale complessificazione è necessaria se si vuole comprendere l’anthropos nella totalità delle sue componenti, e, a maggior ragione, quella realtà dinamica e plurale, spesso conflittuale, che è la politeia[21].

  1. Nomos ed arithmòs: sul primato del nous

Tale approccio contiene indubbiamente un’implicazione politica che, peraltro, la struttura stessa della polis greca lascia trasparire di fatto in modo esplicito (ed è forse ulteriormente radicalizzata nell’impostazione platonica): l’assetto sociale ed etico di un’unità politica, e la sua definizione giuridica, si costituiscono in gran parte per esclusione. In effetti, nel ragionamento dei tre anziani, si evidenziano tutta una serie di argomenti-limite, oltrepassati i quali l’immissione di fattori ulteriori innesca processi di degenerazione[22]: l’edificazione di un ordine intorno a componenti eterogenee va sempre preceduta da una selezione di quanto, in ciascuna di esse, è in effetti ordinabile e non apeiron tout court. Dove l’apeiron incapace di costruzione è un carattere che può attribuirsi sia ad oggetti o ambiti di comportamento, sia a modalità di esercizio della razionalità politica. Vari sarebbero i luoghi della riflessione delle Leggi riportabili a tal riguardo. Qui ci interessa sottolineare il significato programmatico di una simile considerazione per quanto attiene il problema della costruzione su alterità preesistenti ed in conformità ad esse.
Fin da principio, è chiaro infatti come il vincolo rappresentato dagli aspetti necessari presenti nelle varie componenti dell’umano e del politico non vada inteso come risposta puntuale a qualsiasi istanza emerga via via. Perseguire la totalità delle virtù significa anche, fin dall’inizio, non procedere rispondendo ai bisogni del momento, come accade nella prassi legislativa corrente[23], né quindi ad una proliferazione normativa. Delle stesse ‘matematiche’, si ricorderà, andavano compresi gli aspetti necessari, ma in senso “divino”, quello per cui la necessità è positivamente vincolante, o normativa, anche per il dio.
L’ottica complessiva del ragionamento, allora, è quella sottesa alla cosmologia del Timeo: l’opera di un’intelligenza che si gioca nella capacità di dare ordine al disordine governando, o apprestando secondo una disposizione bella e razionale, i dati imprevedibili e di per sé illogici della necessità. Non fattori necessariamente ostili all’ordine, o assolutamente indicibili: fattori, bensì, di disordine rispetto all’assetto presente ed attualmente disponibile dei rapporti perché rispetto ad esso ulteriori, eccessivi o eccedenti[24]. Per integrarli, è necessario procedere ad un riassetto dei rapporti vigenti, anche, eventualmente, con l’elaborazione di nuove logiche: dove l’intelligenza opera non solo sul materiale esterno, ma anche su di sé, producendo le proprie “variazioni” logiche, appunto – automovimento[25].
Ora, l’idea di un’operatività intelligente come capacità di governare e disporre i dati della necessità è proprio il significato che le Leggi attribuiscono, infine, al termine nomos, nella misura in cui esso, per così dire secondo il concetto, vorrebbe nominare politicamente appunto il primato naturale del nous e dell’anima sulla dimensione corporea[26], rinviando al contempo alla superiorità del nous, comunque, rispetto alla legge stessa[27]. Tale sfondo dà infine sostanza al monito costante di perseguire il bersaglio della virtù come articolazione sì stavolta gerarchica delle qualità umane. Il primato dell’anima sul corpo determina la centralità delle virtù rispetto ad altri beni od occupazioni (631b ss.; 727a-728d), nonché la gerarchia delle aretài. Prima e guida delle altre è la saggezza (fronhvsei: o} dh; prw'ton... hJgemonou'n, 631c5-6; e ancora il nous è hegemon sulle altre tre virtù nella sintesi finale del XII libro, 963a) così come prima e guida, tra i criteri su cui impostare il proprio modo d’essere e di vivere, risulterà la verità (ajlhvqeia dh; pavntwn ajgaqw'n qeoi'" hJgei'tai, pavntwn de; ajnqrwvpoi", 730c1-2); poi la temperanza accompagnata da saggezza; quindi la giustizia che tutte le contiene; infine il coraggio[28].
Questi ragionamenti sono il nucleo della libera discussione dei tre anziani e, come abbiamo visto, divengono perciò normativi per l’articolazione dei nomoi nella politeia: essi sono tali, però, nella modalità del proemio, che è il ruolo che letteralmente è attribuito loro (723e-724a; 734e). La gerarchia delle virtù, in effetti, è esemplare del rapporto operativo intercorrente fra il nous e le realtà in cui e su cui questo si cala. Se la presenza di nous, saggezza e verità è ciò che rende beni ed eccellenze tutte le altre qualità dell’anima e del corpo, le tre virtù inferiori sono estrinsecazione del primato della prima, ovvero del primato dell’intelletto, dimostrando che esso in effetti guida i differenti aspetti necessari dell’umano[29]. Possiamo dire, in chiosa al nostro percorso, che il nous allora governa come compete ad uomo libero, lungo la direttrice indicata all’anima dalle discipline ‘matematiche’ elementari: cioè “in uno sviluppo al di là della sua natura per arte divina” (747b5-6: cfr. supra).
Così, per concludere, queste ultime stanno alla paideia come il proemio sta alla politeia: sono giochi[30], nozioni preliminari e paradigmatiche per la comprensione, insieme, teoretica e pratico-politica della realtà, per una sua intelligente interpretazione, sia nel senso epistemico della lettura o decodifica, sia nel senso estetico-teatrale dell’esecuzione personale, creativa.  Il numero, con le altre potenze ‘essenzialmente’ matematiche capaci di opere buone e belle, paradigma di versatilità autocinetica, è quindi intelaiatura della legislazione perché “legge” è il nome del governo del nous quale elaborazione creativa e generativa delle necessità. 



[1] Quando riferiti direttamente a Platone, il termine ed i suoi derivati sono virgolettati per due motivi: in primo luogo perché, com’è noto, non esiste in Platone un vocabolo unitario per designare il campo che noi definiremmo delle matematiche (solo con Aristotele si afferma tale terminologia); in secondo luogo, il nostro uso del vocabolo in riferimento al percorso delle Leggi va specificato in maniera peculiare, secondo quanto emergerà soprattutto al termine del §1.
[2] In virtù di tale legame intrinseco con la distribuzione, la legislazione vale per così dire come quintessenza di ogni arte, se ogni competenza su oggetti, in quanto loro ordinata elaborazione, è in effetti assegnazione e distribuzione di ingredienti e manipolazioni nel modo e nel punto adeguati all’opera da perseguire. Il parallelismo, del resto, fra le problematiche connesse alla legislazione e quelle proprie della techne, fino all’apice del libro X, è elemento strutturale del nostro dialogo. Si veda però già l’accostamento fra legge e pittura nel Cratilo, giocato sulla concettualità del nemein riferita all’arte figurativa: il nome, come imitazione, segue le dinamiche di attribuzione, distribuzione e conferimento di parti proprie delle arti pittoriche (apodidonai e dianomē; 430c ss.; cfr. Leg. II 668d-e, che giudica la musica per la correttezza di identificazione, numero, posizione e assetto delle parti), sicché come queste potrà essere prodotto in modo corretto o scorretto, e dovremo allora parlare di un buono o di un cattivo legislatore, già identificato come artefice della correttezza nei nomi (428e ss.). E si veda d’altra parte, nel Gorgia, oltre al noto parallelo legislazione/giustizia-ginnastica/medicina, soprattutto l’idea dell’ordine ed assetto delle parti come portato delle arti negli oggetti propri a ciascuna, e, da qui, in virtù del loro intrinseco legame con la nozione di ordine, l’identificazione di nomimon e nomos come quei termini che servono ad indicare nel complesso la presenza dell’ordine all’interno dell’anima in quanto oggetto di cura tecnica (503d ss.; su questo plesso torniamo anche infra, nota 26). 
[3] Le traduzioni delle Leggi sono mie.
[4] La componente “penale” o giudiziaria delle leggi viene in effetti interpretata secondo una funzione compensativa o correttiva, coerentemente col problema generale della distribuzione. Il danno subìto da qualcuno, che sia frutto o meno di ingiustizia, va comunque sanato, e la situazione va rettificata assicurando il ripristino dell’amicizia fra quanti incappino in simili circostanze (862b-c), ovvero la componente ‘correttiva’ delle leggi riguarda innanzitutto la compensazione di ciò che si distoglie dalla retta distribuzione e la salvaguardia di quest’ultima. La punizione dell’ingiusto, a sua volta, ossia l’aspetto più squisitamente punitivo, si configura come correzione e cura delle ingiustizie quali malattie dell’anima, in una logica ancora di compensazione e ripristino che, di fronte al caso per essa insensato dell’inguaribile, non può che procedere alla condanna a morte non tanto come pena/farmaco, quanto come estremo strumento, per l’imputato stesso e per la città, di cessazione del male insieme con la vita (862e-863a).
[5] Spesso si dimentica, dice l’Ateniese, “che necessariamente questi ragazzi che praticano giochi nuovi diventano uomini diversi da quelli risultanti dai ragazzi di un tempo, e, se sono diversi, cercheranno anche una vita diversa, e, se cercano una vita diversa, desiderano pratiche e leggi diverse [...]. Negli altri ambiti, che toccano tale materia solo nelle sue linee esteriori, i mutamenti comportano mali più contenuti; ma là dove si vanno a modificare con una certa frequenza le prassi relative a lode e biasimo dei costumi, qui si producono, credo, i mali più grandi, che richiedono il massimo della cautela (798c3-d5)
[6] Viene qui in effetti citata l’omonimia, già ricordata in precendenza (700b; 722d; 734e), fra la legge-nomos e il nomos come genere del canto con la cetra (799e-800a).
[7] Possiamo dire che si tratti, qui, di riconoscere e gestire, in generale, quei discorsi che ambiscono ad avere una valenza educativa e giuridica insieme, come i canti di cui sopra, ovvero a presentarsi, in una parola, come discorsi politici – della e/o alla città.
[8] Cfr. III 697a; V 739a-b; V 746b-d; VI 769a-771a; VII 805b-c; IX 857e-858c. A ciò si legano (come mostra il passo 769a-771a del libro VI) anche i temi della sistemazione delle leggi su base empirica da parte dei legislatori giovani (oltre al passo suddetto, cfr. VI 772a-d; VIII 846b-c; XII 957a ss.) o da parte dei giudici in tribunale (IX 875e ss.), e l’indicazione metodologica di sospendere il giudizio su singoli provvedimenti in attesa di essere giunti al termine dell’intera esposizione (oltre al già citato VII 805b-c, cfr. V 768c-e; VII 820d-e con 821d-822c).
[9] Per sfere di giurisdizione intendo qui quel tipo di competenze e di spazi d’azione entro i quali è possibile parlare di esercizio della cittadinanza intesa come attività o occupazione: ciò significa, in primo luogo, che si tratta di ambiti assunti come politici, ovvero intrinseci e rilevanti per l’esistenza ed il benessere della polis, anche se gestiti separatamente dai suoi singoli membri; dall’altro lato, essi costituiscono proprio perciò le attività il cui esercizio, e la dedizione alle quali, definisce precisamente la figura del cittadino, di colui che è membro effettivo della città, che fa la politeia e le cui occupazioni sono dunque politiche, relative alla città e per essa costituenti e rilevanti; poiché a Magnesia tale definizione del cittadino è recepita in una direzione restrittiva ed esclusiva, per cui all’individuo che assurge a tale titolo sono interdette tutte le occupazioni non direttamente ascrivibili alla difesa ed alla coltura/cultura della città (artigianato e commercio: cfr. VIII 846d, XI 920a), s’intenderanno qui come sfere di giurisdizione del cittadino specificamente l’ambito della guerra, la gestione dell’oikos e della produzione agricola, l’amministrazione della città ai suoi vari livelli, e tutta la dimensione ‘scholastica’, propriamente magnete, della ‘esecuzione’ collettiva del detto legislativo nei simposi, nei cori, nella festa.   
[10] Euclide, Elementi VII, def. 2 (trad. it. F. Acerbi (Ed.), Euclide. Tutte le opere, Bompiani, Milano 2007).
[11] Sulle discipline necessarie, la loro organicità e la loro fruibilità politica proprio in modalità armonica, cfr. anche XII 967c-d.
[12] L’elaborazione dialettico-nomotetica del linguaggio è, come noto, uno snodo decisivo della riflessione linguistica del Cratilo, che è già stato ricordato qui in quanto l’elaborazione della convenzione linguistica vi è ricondotta all’attività del legislatore analizzata in termini di distribuzione: per questo tramite – ovvero, quindi, per l’articolazione, che essa comporta, dell’uno in molti e dei molti in uno e dei loro nessi – legislazione e linguistica possono entrambe essere riportate alla normatività propria del dialettico, o, se pensiamo alla dialettica come condizione di nascita e costituzione di tutte le arti nel Filebo (che non a caso usa anche l’esempio della nascita della disciplina delle lettere), in generale all’attività fondatrice di ogni specifica branca tecnico-scientifica.
[13] Analisi che ho svolto in L’icona e la città. Il lessico della misura nei dialoghi di Platone, Vita e Pensiero, Milano 2009, al quale mi permetto di rinviare.
[14] L’uso di suvmmetron (e mh; suvmmetron) con il significato tecnico di “commensurabile” è attestato per la prima volta proprio nel Parmenide (140c1, c3) e nel Teeteto (147d5, 148b1) platonici, mentre il passo delle Leggi rappresenta la prima testimonianza dell’uso di a[metro" nel senso di incommensurabile.
[15] E. Cattanei, Le matematiche al tempo di Platone e la loro riforma, in M. Vegetti (Ed.), Platone. La Repubblica. Traduzione e commento, vol. V: Libro VI-VII, Bibliopolis, Napoli 2003, pp. 473-539, in particolare pp. 513-514.
[16] “Dunque, quella misura da cui è visibilmente impossibile togliere o aggiungere alcunché, è la misura esatta (ajkribev"). Perciò la misura assolutamente più esatta è quella del numero: infatti si pone l’unità (monavda) come indivisibile in tutti i sensi; e anche in tutti gli altri casi si cerca di imitare questa misura. [...] Per conseguenza, tutti assumono come unità di misura quella prima misura dalla quale non è possibile togliere e alla quale non è possibile aggiungere nulla [...]. La misura, poi, non sempre è una per numero, ma, talora, è anche più di una: per esempio, i diesis sono due, non secondo l’orecchio ma secondo la teoria; numerosi sono i suoni con i quali misuriamo le parole; e con due misure si misurano la diagonale e i lati, e tutte le grandezze” (Metafisica I 1052b ss.: la traduzione (G. Reale, (Ed.), Aristotele. Metafisica, Rusconi, Milano 1993) è leggermente modificata, anche secondo le indicazioni in E. Cattanei, Enti matematici e metafisica. Platone, l’Accademia e Aristotele a confronto, Vita e Pensiero, Milano 1996, p. 41 e p. 305 n. 249; i corsivi sono miei).
[17] Per la conformità di dinamiche appena rilevata, ed in virtù della paradigmaticità dell’arithmòs in esse, ci limiteremo qui ad analizzare alcuni snodi aritmetici in contesti che ne segnalano peraltro la crucialità rispetto alla struttura complessiva della politeia: l’analisi mira però a spiegare, poste le debite specificità, anche dinamiche relative ad ambiti ancor più complessi del reale, quali sono, in politica, soprattutto quelli affidati all’uguaglianza proporzionale (ovvero quello decisivo dell’assegnazione di cariche ad anime mortali) o alla sfera psichico-razionale, rispetto ai quali pure si sottolinea l’insufficienza di metri, numeri e pesi (VI 757a-d; X 896c-d). Se l’irriducibilità dei piani è elemento già segnalato fra le stesse discipline metrico-aritmetiche, peraltro, va notato che le stesse determinazioni aritmetiche relative all’ambito materiale della città sono assunte per la loro valenza qualitativa, prima di tutte il 5040, su cui ci soffermeremo: una separazione fra i due momenti non è dunque possibile in senso stretto. Con l’incremento dei fattori in gioco cresce anche il livello di eterogeneità da combinare (paradigmatico il caso dell’anima e del corpo), essendo peraltro i fattori sempre meno semplici. In tal senso la logica della proporzionalità qualitativa, nel caso di onori e cariche, non interviene in quanto intrinsecamente gerarchica, e quindi funzionale all’istituzione e/o consacrazione di rapporti politici verticistici, ovvero come legge da imporre al materiale politico, invariabilmente, per piegarlo ad un certo tipo di ordine (ovvero come tipo di ordine alternativo a quello aritmetico). La disposizione gerarchica è bensì il risultato dell’assunzione di differenze di fatto (le diverse nature delle anime umane) che vengono ricondotte ad uguaglianza per via proporzionale, come altrove riesce a fare, viceversa, la via aritmetica (il passo del libro VI è esplicito in questa direzione): l’istanza non sono né la gerarchia come opzione politica, né la proporzione come opzione logica, ma è comunque la costruzione di un comune da fattori eterogenei.
[18] La popolazione, almeno di partenza, dev’essere dunque un numero limitato, capace però di molte ripartizioni e, nei minimi divisori, al massimo grado comunicanti: il massimo della comprensività (perché contiene tutti i fattori primi), malleabilità (perché la vastità delle ripartizioni consente una notevole varietà di combinazioni) e comunicabilità interne (perché in tal modo gli elementi discreti, integrati per una molteplicità di costruzioni possibili, hanno il massimo delle possibilità di essere messi in relazione tra loro). Tali considerazioni andranno poi integrate con quelle legate ad esigenze di difesa dalle popolazioni vicine, che richiedono però la conoscenza di dettagli empirici da acquisire al momento dell’effettiva redazione della politeia magnete: cfr. V 737c-d. Su come il 5040 si colleghi ad una serie di altre esigenze pratiche di Magnesia (conoscenza reciproca dei cittadini, fattori religiosi e cosmologici nella divisione delle phylai, etc.), cfr. anche 771a ss..
[19] Si ricorderà, a tal proposito, come nel Timeo (48b ss.) venga criticata la normale applicazione della nozione di ‘elemento’ in ambito corporeo, giacché i tradizionali quattro elementi sono in realtà già costruzioni complesse su fattori di natura bidimensionale, non già corporea.
[20] L’accenno ai suoni e ai movimenti nella loro catalogazione indica che il tema dell’articolazione delle discipline ‘matematiche’ che strutturano il percorso formativo sottende anche i ragionamenti sulla musica, sugli stili di vita ed i relativi “ritmi” di movimento, quindi sul senso etico-pedagogico del movimento, presenti in Nomoi, dal libro II al libro X, ma sottende anche chiaramente l’organicità dell’analisi antropologica del Timeo.
[21] Se il cittadino comune, che conosce le discipline matematiche nelle loro differenze interne e reciproche, possiamo dire che riconosca con ciò la necessità appunto della differenziazione, diremo che quanti accedono ad un livello più esatto di conoscenza matematica non solo sanno che esistono diversi metri e misurazioni, ma sono anche in grado (come nell’Accademia) di discuterli in sé e nelle loro ragioni fino eventualmente a contestarli o ad introdurne di nuovi. Allo stesso modo, gli anziani distintisi in vita per il servizio alle leggi sono infine legittimati anche eventualmente alla loro critica e modifica, insieme con gli altri componenti del Consiglio Notturno. Tra questi, vi sono anche i cittadini tornati incorrotti dai viaggi all’estero (XII 961a) portando in città, tra le altre informazioni utili, anche discipline che altrove sono insegnate in modo diverso e la cui ignoranza è dannosa alla chiarezza rispetto alle leggi (XII 952a): non si fatica a riconoscere qui un riferimento alle considerazioni del VII libro sulla riforma dei metodi e contenuti d’insegnamento delle discipline ‘mathematiche’. 
[22] Si ricordi l’operazione preliminare di epurazione o selezione della popolazione (735b ss.; cfr. anche le considerazioni a 741a, nonché la regolamentazione dell’accesso degli stranieri e dei viaggi all’estero dei cittadini, 949c ss.), ma soprattutto il tema insistito dell’assenza di aplestia come condizione fondamentale alla tenuta della costituzione (ad es. 736e-737a; 741d-e; 744d-745a; 747b-c; 831c ss.; 875b-c), limite morale su cui si basa l’ammissione sì, ma previamente delimitata, delle ricchezze mobili o della moneta in ambito sia privato sia cittadino (si pensi inoltre alla necessità della censura poetico-letteraria contro il pericolo della polymathia: 811b); alla condanna dell’accumulo si collega anche il richiamo a non assegnare cariche a singoli individui oltre la giusta misura, con l’indicazione inoltre delle forme e dei limiti istituzionali utili ad integrare e contenere gli aspetti democratici e monarchici del regime (III 690d ss.; 757d-e; 767e-768b); si vedano inoltre le giustificazioni all’indicazione normativa della via mediana in vari contesti (ad es. 728c ss.). Ma ulteriori punti-limite potrebbero essere indicati ad ogni passaggio d’onda della legislazione.
[23] “In effetti, oggi ci si appresta a, e si va in cerca di, ciò di cui ciascuno si trovi eventualmente ad aver bisogno (ejn creiva/), chi le eredità e le figlie ereditiere, chi gli oltraggi, e chi altro altre mille questioni simili. Noi sosteniamo, di contro, che la ricerca relativa alle leggi, se ben impostata, è come quella che abbiamo avviato noi ora [scil. in riferimento all’unità delle virtù]” (630e4-631a2).
[24] Il Timeo, assumendo la prospettiva cosmologica, pone il problema dell’inizio come limite di ogni ordine, ad un livello di assenza d’intelligenza di cui solo con un logos bastardo si può parlare: le Leggi, viceversa, pur nell’ottica in ciò assai favorevole della colonia (cfr. le considerazioni in proposito a 736a, 736c-d), devono assumere componenti umane comunque entro certi limiti già formate (in quanto a ricchezze, ma anche in senso culturale ed etico, oltre che in termini basilari di indole: cfr. ad es. 707e ss.; 744b ss.), nonché fattori territoriali o materiali (ad es. 704a ss.; 747d-e; 834b-c) legati al fatto che una città non è una realtà astratta ed avulsa, ma una particolare entità nel cosmo. Vi si trovano, allora, una serie di sfumature fra dicibile ed indicibile come altrettanti termini per definire i limiti di ordinabilità del piano politico. Da un lato, una serie di comportamenti etici sono talmente elementari da dover essere lasciati sotto silenzio, pur non essendo in sé indicibili, ché la necessità di una loro regolamentazione esplicita, vien da dire, sarebbe segno dell’impossibilità di un ordine tout court (696d-e; 788a ss.; 807e-808a; 822d-e); per altri una definizione normativa sarebbe fonte di scontento o di ridicolo, e ci si limita alla loro espressione proemiale, incantatoria, didattica o di ammonizione (773e-d), oppure se ne valuta l’opportunità caso per caso (784e-785a); altri aspetti-limite vanno invece espressi per la loro crucialità, nonostante l’incertezza in cui versano ed il carattere arrischiato, quindi, di una loro determinazione (è soprattutto il tema del momento iniziale della colonizzazione, senza definire il quale non vi sarebbe possibilità alcuna di forma: 753e-754a, da cfr. con 752a-c). Dall’altro lato, proposte legislative in contrasto con le prassi più comuni, ovvero che scardinino l’ordine vigente dei rapporti, sono difficili da dire ed implicano coraggio e parrhesia, ovvero il tenere a riferimento solo se stessi ed il proprio logos (797a; 810c-e; 835b-c; d’altro canto, il meccanismo inibitore della sacralizzazione di un divieto e della vox populi può essere usato, in positivo, per bandire comportamenti effettivamente nocivi: 838d ss.). Ciò che invece, infine, non è indicibile, ma è impredicibile – ovvero, dal nostro punto di vista, non mai assoggettabile né esauribile in alcuna forma positiva di ordine e normatività perché movimento generatore e sostanziante di ogni legge effettuale – è l’avvento della scienza nelle anime di coloro cui è affidata la salvezza della città (968c-e), ovvero la presenza in atto del nous come quell’eccedenza che fa pulsare il cuore della vita politica.
[25] “Davvero, stranieri, sembrerebbe difficile che quanto attiene a costituzioni evolvesse incontestabilmente allo stesso modo nella teoria e nella prassi: come nei corpi, infatti, si rischia che non sia possibile prescrivere qualcosa, un esercizio ad un corpo, senza che questo stesso possa risultare ora nocivo per i nostri corpi e ora invece utile” (I 636a4-b1). Come non ci sono singoli provvedimenti che siano comunque garantiti nella loro efficacia rispetto alle istanze per cui sono adottati, senza rischiare di trasformarsi nella prassi in fattori di degenerazione, così noi possiamo affermare che non vi sia una logica risolutiva tout court del piano delle relazioni politiche: i sistemi concettuali con cui viene ordinato il materiale costituzionale possono rispondere a determinate istanze teoriche, ma anche piegarsi poi nelle prassi in direzione opposta, oltre che risultare inadeguati ad accogliere istanze ulteriori e diverse da quelle che li hanno determinati.  
[26] Già nel Gorgia, come accennato in precedenza (supra, nota 2), il termine “legge” è indicato come il nome che si dà alla situazione per cui nell’anima si esperisce una condizione di ordine (504c-d), che lì è identificata con la virtù: una vita secondo legge è una vita che sceglie l’ordine ed il governo di sé, l’esercizio e la disciplina, come via privilegiata per il perseguimento della felicità. Ciò rinvia chiaramente al tema platonico costante di un’organizzazione psichico-esistenziale ordinata al primato della ragione rispetto, ad esempio, ai piaceri. 
[27] IX 875c-d: è interessante notare come tali precisazioni sul primato comunque riconosciuto al nous ed alla scienza rispetto alla legge, da un lato seguano le affermazioni sulla necessità della legge per gli uomini, e dall’altro precedano le osservazioni sui limiti del nomos in quanto riferito al “per lo più”, quindi inadeguato all’infinità dei casi particolari (da cui aspetti della regolamentazione affidati ai giudici nei tribunali). La ‘libertà’ del nous, nonostante le necessità imposte dalla natura umana, è affermata di fronte alle sollecitazioni rappresentate dall’illimite, quindi di fronte al bisogno eventualmente di rideterminarsi per reagire a ciò che sfugge all’assetto disponibile.
[28] Il coraggio è qui all’ultimo posto in quanto considerato da solo, nell’ottica della critica al militarismo spartano; altrove è invece la temperanza da sola ad essere posta al livello più basso (696d-e). Temperanza e coraggio, se assunti isolatamente dal resto, risultano entrambi tratti del carattere, più che virtù, necessari per la convivenza ed il funzionamento civili, ma non degni di particolare considerazione: cfr. anche le osservazioni sul coraggio presente anche in bambini e bestie privi di intelligenza nel XII libro, 963e ss..
[29] Con ciò non intendiamo risolto il problema dell’unità delle virtù, che deve e può essere posto solo in riferimento alla domanda sul bene, come si evince dalle riflessioni conclusive del XII libro (soprattutto 965c-966b): la presente relazione si concentra sul nous, mentre lascia aperta la questione del rapporto fra questo ed il bene, inteso come domanda etica generale al modo del Filebo o come principio al modo di Repubblica.
[30] Se gioco sono le discussioni dei tre protagonisti (685a), anche le discipline ‘matematiche’ elementari non solo vanno inizialmente imparate sotto forma di gioco (817e ss.), ma valgono esse stesse come giochi per il ruolo che al gioco è riconosciuto nel I libro (dove si citano anche gli esercizi con le misure del regolo o del metro): quello di indirizzare ed orientare la passione in una data direzione, ossia qui al desiderio di diventare cittadino perfetto ed all’esercizio della virtù (643b-e). In particolare, esse risvegliano la mente, come suggerisce ancora il passo del libro V sulle variazioni: risvegliano l’attività viva del nous che sostanzia le altre virtù e la loro composizione, come queste sono sostanza e fine per l’ordine della città.